Il patto di non concorrenza è finalizzato a limitare lo svolgimento dell’attività di un prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta, in breve, di una clausola contrattuale attraverso la quale il datore di lavoro si accorda con l’ex dipendente per limitare l’attività professionale di quest’ultimo una volta terminato il rapporto di lavoro.
Il codice civile disciplina dei limiti precisi al riguardo, stabilendo che tale patto debba risultare da un atto scritto e debba avere limiti temporali prefissati: 5 anni per i dirigenti e 3 anni per tutti gli altri lavoratori. Oltre a fissare altri limiti (di luogo e di oggetto), prevede anche la determinazione di un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro che sia proporzionale alla durata dell’obbligo di non concorrenza.
Tale patto si differenzia però dal divieto di concorrenza, che costituisce un obbligo contrattuale operante in costanza di rapporto di lavoro (ovvero nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro) e che non necessita di alcuna pattuizione.
Il mancato rispetto del patto di non concorrenza da parte dell’ex lavoratore costituisce dunque, un illecito contrattuale. L’ex datore di lavoro può quindi agire giudizialmente nei confronti dell’ex lavoratore per ottenere il risarcimento dei danni provocati dalla suddetta violazione.
L’onere della prova, per legge, spetta al datore di lavoro, che per raccogliere tutte le prove necessarie può avvalersi di agenzie investigative autorizzate a svolgere indagini e accertamenti per dimostrare il mancato rispetto del patto di non concorrenza sul territorio italiano.